cronache e opinioni

La scuola è finita e io mi sento bene

Giugno è il mese che mi piace di più. Da piccolo quando alla fine dell’anno i miei genitori portavano un calendario nuovo a casa – il più bello e colorato era quello di Frate Indovino – sfogliavo con ansia le pagine e mi precipitavo a vedere il disegno che raffigurava il mese di giugno. Solitamente c’era una scuola con tanti studenti illuminati da un volto allegro che correvano felici lanciando per aria borse e quaderni.

Anche quest’anno giugno è arrivato e l’immagine è la stessa che c’era in quel vecchio calendario: una scuola che chiude e gli studenti che vanno via. E’ un rito che si ripete ogni dodici mesi, sempre uguale a se stesso, con gli stessi ritmi e le stesse speranze. Però non è mai veramente la stessa cosa. Ogni “chiusura della scuola” è uguale, ma diversa ogni anno. Si salutano amicizie, si lasciano alle spalle momenti di sconforto e di piacere, soddisfazioni e sconfitte.

Ho sempre pensato che la scuola fosse una bella invenzione e chi l’ha progettata avesse voluto imitare l’opera di Dio nella creazione del mondo. Poi – come spesso accade – la scuola che è fatta di uomini per gli uomini ha iniziato a inseguire altri modelli e altri traguardi. Però rimane ancora una delle poche istituzioni che dà un senso di appartenenza alle persone.

Avete notato che nessun insegnante parlando del proprio lavoro dice “vado a lavorare” ma “vado a scuola” (lasciate stare ogni facile ironia), o avete mai contato il tempo che dedichiamo nella vita di tutti i giorni alla scuola?

Avrete capito che questo piccolo preambolo mi è servito per dire che la fine della scuola è per me un momento di riflessione. Mi soffermo sul mio lavoro, rivedo i miei appunti e le mie agende e non posso non chiedermi se ho fatto tutto quello che era necessario. Se quello che ho detto ha seminato un terreno fertile o se le mie parole sono state trascinate dal vento del disinteresse come la polvere.

Quest’anno ho avuto la fortuna di insegnare in due quinte e in una quarta. Insomma ragazzi maggiorenni, molti con qualche anno di scuola in più sulle spalle. Ragazzi come tanti che affollano i nostri paesi e le nostre scuole. Stessi visi pieni di speranze, stessa energia giovanile, stessa voglia di stare insieme comunque. Poi mi chiedo se per loro questi quattro, cinque anni di scuola hanno davvero segnato una differenza. Se hanno sul serio imparato qualcosa, almeno cosa vuol dire rispetto, tolleranza, democrazia, fatica, passione. Forse mi importa relativamente che sappiano porzioni più o meno lunghe del programma che ho loro proposto, certo sarei iprocrita se non immaginassi il mio alunno ideale come uno studente che studia tre-quattro ore ogni giorno e ha interesse per lo studio. Io dopotutto ero così e mi piaceva imparare.

Molti di loro non sanno cosa sia la passione per il conoscere, sfogliare un libro, indagare sulla vita di Kant o di Leopardi. Si annoiano solo a sentire parlare di arte o di matematica. Tutto normale direte voi. Ma ogni volta mi chiedo, dopo gli scrutini, qual è il prezzo per tutte queste energie perse, per queste conoscenze interrotte. C’è da qualche parte una tabella che riporta un saldo costi-benefici che ci inchioda alle nostre responsabilità – di insegnanti, genitori, studenti, cittadini – e ci ricorda quanto spreco intellettuale, culturale, umano e sociale ci sia ogni anno nelle scuole italiane?

A voi ragazzi auguro ogni bene, perchè avete una vita davanti alla quale dovrete dare senso. Forse quei libri stropicciati, quegli insegnanti noiosi, quelle fotocopie ingiallite un giorno vi torneranno alla memoria e, sinceri con voi stessi, riconoscerete che non è stato tutto inutile.

Ora per finire voglio salutare i miei colleghi: quella sgangherata e tartassata categoria di parolai che ogni giorno riempie sorde aule di discussioni, riflessioni, spiegazioni e interrogazioni.

Un saluto a chi va in pensione. Gli insegnanti sono come i preti, anche se lasciano l’abito per raggiunti limiti di età restano preti per tutta la vita.

Un saluto a chi rimane in trincea ed è pronto a cominciare nuove battaglie.

Ma soprattutto, permettetemi, un arrivederci a chi contro la sua volontà va via, perchè viene trasferito o perchè gli è scaduto un contratto di lavoro. Ecco, io sogno una scuola dove non dovrà lasciare nessuno, dove siano banditi termini come precario o tempo determinato e a scadere siano solo le merendine della macchinetta.

Tanti auguri a tutti.

Paolo Figus

SCUOLA IN CHIARO