Non è mia intenzione sostituirmi al lavoro di psicologi o pedagogisti! Questa breve relazione ha come unico scopo quello di fornire una traccia di programmazione e alcuni suggerimenti operativi, perché i libri che sviluppano tali argomenti o sono troppo tecnici o si risolvono in un astratto verbalismo. Si è ben lungi dal suggerire una soluzione al dibattito in corso, anche perché i confini interpretativi della programmazione sono alquanto labili e soggetti a continui aggiornamenti ed aggiustamenti, a livello teorico, dai ricercatori e dai pedagogisti; a livello operativo, dall’esperienza e dalle riflessioni d’ogni singolo docente. Oggi, tra l’altro, si sta addirittura parlando di superare i limiti dalla programmazione aprendo una nuova fase dell’organizzazione scolastica tale da abbandonare l’attuale, e comoda, posizione positivista. È stata una visione scientifico-positiva quella che ha voluto razionalizzare, attraverso obiettivi, tempi, modi etc. l’attività dell’insegnante. Anche uno sprovveduto sa che qualsiasi attività umana deve essere organizzata ed orientata verso un fine, altrimenti sarebbe un agire a caso, come dimostra la storia della pedagogia dai gesuiti a Comenio, a Herder. Prima di procedere oltre è opportuno chiarire, concettualmente, i seguenti termini: programma e programmazione.
Programma. E’ l’insieme dei contenuti culturali da trasmettere ed è ordinato secondo una struttura che si adatta alle diverse fasi di sviluppo cognitivo degli alunni ed ha lo scopo di formare gli alunni e di prepararli agli studi universitari; inoltre la “funzione docente realizza il processo d’insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti per i vari ordini e gradi dell’istruzione” [1] .
Il programma Ministeriale era detto prescrittivo in quanto obbligatorio, nonostante il DPR 417/74 riconoscesse l’autonomia e la libertà del docente. Alcuni docenti continuano a tirare in ballo il programma “da sviluppare” giustificando così l’assenza di pause o un rallentamento o una rivisitazione dei contenuti già svolti ma non appresi dagli alunni, ma ciò non può più essere una giustificazione, giacché le istituzioni scolastiche oggi sono in regime di autonomia, e quindi anche di autonomia didattica. L’autonomia è stata introdotta con la legge n. 59 del 1997 comma 9 art. 21, conosciuta come legge Bassanini. Vigendo il regime di autonomia è altresì chiaro come vengano meno i programmi “ministeriali”, ma acquistano maggiore importanza i programmi dell’istituto correlati al territorio e alle richieste dell’utenza scolastica.
L’autonomia scolastica consente:
– la più ampia libertà di progettazione didattica;
– il raggruppamento di discipline in aree o ambiti disciplinari;
– l’offerta di insegnamenti opzionali o aggiuntivi.
Ricordiamo il D.Lgs 59/2004, l’art. 9 del DPR n. 375/99 che prevede la possibilità di dividere il curriculum dell’alunno in due quote, delle quali una può definirsi nazionale, pari all’85% del monte ore annuale, e di un 15%, che può essere impiegato dalla scuola per proprie iniziative autonome[2].
Lo stesso Ministro scrive:
L’autonomia scolastica e l’interazione, nei contesti locali, tra le diverse autonomie, costituisce il quadro di riferimento principale dei processi di innovazione e di riqualificazione di cui l’intero sistema educativo ha bisogno. Imporla dall’alto, con atti dirigistici, legislativi o amministrativi, sarebbe un grave errore, condannato in partenza all’incomprensione e all’inefficacia. Perché sia possibile mettere le istituzioni scolastiche nelle condizioni di sviluppare la loro autonomia educativa e didattica, senza che si passi dal centralismo burocratico allo spontaneismo improduttivo, vanno definite con precisione le competenze del centro, che rimangono essenziali, e che, in termini generali, sono esplicitate all’art. 8 del DPR n.275/’99. (…).
All’istituzione scolastica spetta l’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa, secondo quanto stabilito dal Titolo I cap. III del citato DPR n. 275/’99 (titolato, significativamente, “Curricolo nell’autonomia”). Nella predisposizione del POF e del relativo curricolo didattico si manifesta appieno l’autonomia progettuale, didattica, organizzativa, di ricerca e sviluppo che è propria dell’istituzione scolastica, un’autonomia funzionale alla piena valorizzazione e realizzazione della persona umana, con le sue relazioni, così come richiamato tanto dalla normativa sull’autonomia quanto dalla successiva legge n. 53/’03.
Programmazione. Con la parola programmazione, in linea generale, s’intende sviluppare, puntualizzare, mettere in opera, una serie d’interventi coordinata che concorrono a conseguire, attraverso efficienza, efficacia economicità, un obiettivo. Sul piano strettamente didattico la programmazione [3] permette al docente di superare l’improvvisazione, la causalità operativa e di organizzare in modo razionale e coerente gli interventi educativi, di organizzare i contenuti e le diverse attività scolastiche, verifiche comprese. Consente, inoltre, di “tradurre” le discipline culturali in materie da insegnare e da apprendere, e consente di conciliare le regole della didattica in generale con le condizioni di insegnamento-apprendimento effettivamente riscontrate. Con la programmazione, quindi, si adeguano i programmi alla classe, s’individuano i collegamenti interdisciplinari, e si scelgono le metodologie che consentano effettivamente di facilitare il processo di apprendimento e di crescita, oltre che culturale, emotiva, relazionale e civile.
I riferimenti normativi possono essere reperti nel DPR 416/74 e nella L. 517/77 art. 2, 7. Alla formulazione della programmazione concorrono tutti i docenti attraverso la programmazione del piano annuale delle attività contenute nel POF, in una seconda fase, i consigli di classe e i singoli docenti renderanno operativa la programmazione individuando contenuti, metodi e tempi e modalità di verifica. È quindi l’attività programmatica del collegio docenti ad avere un ruolo di fondamentale importanza operativa perché procede nell’ individuare, attraverso l’adozione del POF,
gli obiettivi e le finalità educative (programmazione educativa) dell’istituto, obiettivi naturalmente coerenti con le finalità Costituzionali e le leggi vigenti; In un secondo momento i dipartimenti individuano i contenuti da impartire e gli obiettivi disciplinari, infine i consigli di classe e i singoli docenti attuano la programmazione educativa, didattica e disciplinare.
La ricerca pedagogica definisce così la programmazione:
La programmazione è dunque un tipo d’elaborazione di contenuti e metodi didattici che spetta ai soggetti di insegnamento, ma non con criteri soggettivi: utilizza, infatti, criteri scientifici di validità generale, in altre parole si serve di regole e di leggi comuni a tutte le situazioni di insegnamento-apprendimento e quindi di tutte le condizioni scolastiche. [4]
Il termine programmazione viene usato anche per richiamare una determinata tecnologia della didattica:
La programmazione (…) rappresenta una regolamentazione di un’attività secondo le tecnologie didattiche, vale a dire, un’organizzazione, una razionalizzazione ed una individuazione dei metodi e tempi di applicazione. [5]
Il soggetto che interviene utilizzando le metodologie didattiche, è l’insegnante, non l’insegnante racchiuso come una monade nella propria disciplina d’insegnamento, ma un operatore che interagisce con altri colleghi, programma per aree disciplinari, perché non esiste una programmazione che non sia collegiale. Purtroppo, la programmazione, continua a svolgere solo una funzione formale burocratica, senza attuare quella validità pedagogica per cui è stata pensata.
La programmazione come razionalizzazione deve avere scopi ben precisi. Il primo in assoluto è quello di conferire organicità, coerenza, efficacia al lavoro del docente; il secondo organizzare il lavoro così da sfruttare il tempo scuola; il terzo individuare i metodi e gli strumenti con cui conseguire gli obiettivi; il quarto e non ultimo, facilitare l’apprendimento. Se non consente lo sviluppo di queste procedure non è una programmazione didattica, ma solo burocrazia funzionale più all’istituzione che all’alunno. Dire “solo burocrazia” è riduttivo ma, non bisogna dimenticare che è anche burocrazia. Ogni attività di insegnamento è giustificata e fondata solo se programmata, in altre parole se è inserita in un piano di lavoro ad inizio anno scolastico e modulata sulle reali capacità degli alunni, perché non bisogna mai dimenticare che sono gli alunni i destinatari della programmazione e delle attività del corpo docente. L’assenza di una programmazione, oltre a rendere più difficile il lavoro dell’insegnante, disorienta la classe e le attività risultano dispersive e caotiche, spesso mal collegate l’una con l’altra. L’alunno è facilitato nell’apprendimento se sono ben chiari i punti di partenza ed i punti di arrivo, le procedure operative, se la programmazione è dotata di una coerenza interna, ed infine se effettivamente tiene conto del ” sapere degli alunni”. Personalmente aggiungo che la programmazione dovrebbe partire anche da una “idea della mente“, da una “teoria dell’apprendimento“, o meglio, da una consapevole “filosofia pedagogica” che contempli la persona umana nella sua globalità. Non si può certo chiedere ciò a ciascun docente, però si può pretendere che ciascun docente ponga in gioco la propria visione del mondo e dell’apprendimento. Certamente se si ha una teoria della mente e una teoria dell’apprendimento, o, dello sviluppo cognitivo, si potrà operare anche in linea con questi presupposti teorici, facilitando realmente il lavoro degli alunni.
Alcuni presupposti teorici sulla programmazione.
Si fa risalire a Ralph Tyler [6] il merito di aver dato avvio a quel settore di ricerca che va sotto il nome di teoria del curricolo, o anche della programmazione scolastica. Ritiene che “una programmazione didattica debba essere fondata su obiettivi precedentemente tradotti in comportamenti osservabili e misurabili; che altro sono i criteri di valutazione se non gli stessi obiettivi dell’apprendimento assunti come strumenti di verifica della loro realizzazione?
Per il Tyler la programmazione deve partire dall’analisi del contesto sociale, dai bisogni dello studente e dal patrimonio culturale, perciò implica una “scelta” dei contenuti e dei metodi e degli strumenti di verifica e con essi anche un ben preciso sistema di valori etici e politici. Non è opportuno addentrarci in questo campo che sarà oggetto magari di una ulteriore riflessione. I docenti delle materie scientifiche troppo spesso ritengono che la loro disciplina sia asettica, eppure cosa c’è di più conservatore del concetto stesso di “trasmissione dei contenuti“?
Il Tyler paga lo scotto di rifarsi esplicitamente al comportamentismo sia di Watson che di Skinner, ovvero di volere verificare i comportamenti oggettivamente osservabili, omettendo di fatto una “filosofia della educazione o una filosofia pedagogica” che stia alla base della programmazione. M. Pellery partendo invece da una riflessione filosofica sulla programmazione divide gli obiettivi educativi dagli obiettivi didattici [7]. Gli obiettivi educativi concorrono alla formazione globale della personalità umana, spaziando dall’aspetto cognitivo a quello relazione e affettivo; gli obiettivi didattici, invece, sono tipici di ogni disciplina. Il Pellery “giunge ad individuare due livelli di programmazione: una programmazione e educativa e una programmazione didattica, con la prima che adempie rispetto alla seconda, una funzione di guida”.
Se il Tyler e il Pellery incentrano la loro attenzione sulla pedagogia e sulla programmazione R. Massa ritiene che la pedagogia come scienza è da indicare nel suo essere come “metodologia” per cui le sue riflessioni teoriche vanno alla ricerca di una “autonomia della didattica”, ovvero delle procedure che la programmazione deve attivare per rispettare il processo evolutivo dell’alunno [8].
Ritorneremo in un secondo momento sulla didattica e sulle metodologie più comuni.
Le fasi della programmazione possono essere così descritte:
1. Presa d’atto della situazione di partenza
– Presentazione della classe
– Presenza di alunni diversamente abili
– Provenienza geografica
– Ripetenti
– Nuovi inserimenti
2. Accertamento dei prerequisiti
– Uso di metodi e mezzi come il questionario, il test
3. Obiettivi:
– Educativi
– Trasversali
– Disciplinari o didattici
4. Contenuti
– Scansione temporale dei contenuti
5. Moduli didattici lineari o trasversali
– I Moduli didattici sono composti da unità didattiche
6. Metodi
– Mezzi
7. Verifica
– Valutazione
8. Attività di recupero
9. Relazione finale e miglioramenti ottenuti ed accertati rispetto alla situazione di partenza
1.§ Accertare la situazione di partenza della classe è uno dei momenti più difficili, perché dalla prima impressione [9], dall’analisi dei risultati delle verifiche, tese a conoscere il livello generale culturale, le competenze e le capacità, scaturiscono gli elementi che concorreranno a determinare i contenuti, i tempi e gli obiettivi. Una conoscenza affrettata della classe, o strumenti di verifica inadeguati, possono rivelarsi estremamente dannosi, sia sotto il profilo relazionale, sia nello sviluppo del processo insegnamento-apprendimento. È necessario, quindi, “disporre di metodi di verifica che permettano di strutturare la programmazione in modo coerente e organico“, palesando le effettive capacità e potenzialità degli alunni. Oggi, l’editoria provvede a ridurre le difficoltà offrendo spunti, strumenti di verifica, allegati ai manuali, per determinare la situazione di partenza, attività che prima era lasciata all’inventiva del docente. Lo scopo di una attendibile conoscenza di una situazione di partenza consiste nel “ridurre le impressioni personali, ed individuare, per quanto possibile, ed al di là di uno stretto soggettivismo, le variabili dipendenti e le condizioni “oggettivamente rilevabili” della classe. Si sa che non è possibile eliminare la dimensione soggettiva, ma è possibile limitarne il campo d’azione, ricorrendo a strumenti e procedure tali, che se pur non rilevano dati oggettivamente validi, forniscono comunque dati ragionevolmente attendibili.
Accertare, sul piano generale, le condizioni d’ingresso di un alunno è semplicemente utopia, però possono accertati, interessi, abilità, competenze conoscenze, stili di linguaggio, gli stili cognitivi, le competenze culturali, cioè tutti quegli elementi che concorrono a definire il quadro d’ingresso o la situazione di partenza. L’insegnante che intende intraprendere una attività didattica su dei precisi contenuti deve limitare l’accertamento esclusivamente ai prerequisiti necessari per potere affrontare i contenuti.
L’accertamento dei prerequisiti “una volta che siano stati individuati dall’insegnante, sulla base della letteratura esistente o sulla base all’esperienza diretta e personale può avvenire in due modi: uno attraverso tecniche rigorose con strumenti quali il test di profitto che portano a risultati quantificabili; l’altro più tradizionale attraverso strumenti quali il colloquio o il testo scritto, senza esprimere alcuna valutazione di profitto. L’accertamento dei prerequisiti necessari per strutturare in modo organico e coerente i saperi non è altro che “una diagnosi in grado di evidenziare uno “stato”, non di giudicare un comportamento e tanto meno di impedire uno sviluppo futuro [10], anzi deve poter “agevolare” uno sviluppo futuro.
2.§ Un problema non meno rilevante è rappresentato dagli obiettivi. Come sappiamo gli obiettivi sono educativi e didattico disciplinari, gli uni contemplano lo sviluppo complessivo della personalità e sono espressi nel POF, gli altri vengono individuati dai dipartimenti, dai singoli consigli di classe e dai singoli docenti.
Con l’espressione obiettivi didattici si indicano esclusivamente i comportamenti degli alunni che l’insegnamento è in grado di suscitare e debbono poter essere verificati al temine di un ciclo di insegnamento. Debbono perciò essere formulati in maniera chiara e comprensibile dall’alunno, senza ricorrere all’uso di termini equivoci o che possono dar luogo a fraintendimenti. Debbono anche tenere conto dello sviluppo cognitivo dell’alunno e del fatto che l’apprendimento non è mai sincronico, cioè non avviene secondo i processi temporali impostati dal docente, ma secondo ritmi e tempi di apprendimento propri dell’alunno, spesso anche influenzati dai comportamenti e dalle abitudini del gruppo famigliare. È anche chiaro che il processo di insegnamento-apprendimento deve potere ridurre i tempi di assimilazione e di elaborazione dei contenuti, altrimenti non si avrà nessun miglioramento né culturale né personale, né relazione o affettivo. Se un alunno studia, ma studia secondo i suoi ritmi e non riesce a ridurre i tempi di assimilazione è anche chiaro che pur avendo buone capacità cognitive di partenza, le stesse non verranno affatto migliorate. Gli obiettivi debbono essere calibrati sugli alunni e proporzionati alla situazione di partenza rivelata. Obiettivi irraggiungibili finiscono con lo scoraggiare l’alunno e spesso condurlo all’insuccesso. Devono perciò essere graduali, partire dal facile al complesso, dal globale all’analitico, e debbono essere strutturati in modo coerente. Ecco alcuni esempi di obiettivi:
Obiettivi metodologici: L’alunno deve essere capace di
– organizzare il proprio lavoro;
– risolvere correttamente un problema;
– preparare una relazione;
– costruirsi il proprio metodo di studio.
Obiettivi tecnici: L’alunno deve essere capace di
– padroneggiare la lingua parlata;
– partecipare alle discussioni;
– esporre i risultati di un lavoro;
– sapere scrivere
– ascoltare gli altri;
Obiettivi di comportamento: L’alunno deve essere capace di
– curiosità e stupore;
– creatività;
– pensiero critico;
– autonomia di giudizio [11].
Obiettivi legati ai saperi disciplinari vanno individuati all’interno degli argomenti che si intendono affrontare in classe.
3.§ Moduli didattici.
H-C.A. Chang afferma che i moduli didattici corrispondono alle unità didattiche: il termine modulo (dal lat. modulus, diminutivo di modus, misura, regola, modello) nell’ambito didattico viene utilizzato per indicare un insieme di esperienze di apprendimento organizzate generalmente in forma di unità didattica, riferite ad una disciplina o ad alcune discipline di studio, con l’indicazione precisa degli obiettivi da raggiungere, dei prerequisiti e della durata complessiva di svolgimento, con la possibilità di innestarvi ulteriori argomenti attigui. Fatta questa doverosa premessa vediamo ora come si organizza una U.D. L’unità didattica si identifica con la strategia che l’insegnante è chiamato ad inserire nella sua programmazione, e rappresenta una “frazione”, un momento del processo di apprendimento individuato.
Secondo il Frabboni, l’U.D. deve avere una identità teorica ben delineata e precisamente deve possedere le seguenti caratteristiche fondamentali:
– Chiarezza cognitiva;
– Autosufficienza cognitiva;
– Interconnessione cognitiva [12].
L’U.D. è individuata dal docente all’interno dei contenuti da svolgere, e deve essere modulata sulle capacità e sui tempi di apprendimento degli alunni.
Chiariamo. Se in filosofia si intende affrontare un percorso storico che vada da Hegel all’irrazionalismo dell’800, possono essere individuate tre U.D.: una sul Romanticismo, una seconda sull’Idealismo ed Hegel, una terza sulla reazione all’idealismo da parte dei pensatori irrazionali, Kierkegaard o Schopenhauer. Gli argomenti all’interno dell’U.D. vanno individuati secondo i criteri di: gradualità, sequenzialità ed espansività cognitiva [13]. Lo schema operativo di una U.D. può essere così riassunto :
A. Individuare il contenuto minimo del programma;
B. Attività di insegnamento-apprendimento;
C. Obiettivi;
D. Metodi;
E. Tempi;
F. Verifica formativa;
G. Eventuale attività di recupero;
H. Verifica complessiva o sommativa.
Nel predisporre la programmazione il docente dovrà prestare particolare attenzione a strutturare le attività di recupero per quanto disposto dal D.M. n. 42 del 22 maggio 2007, perché la presenza di un debito formativo è ostativa per l’ammissione agli esami di Stato.
Si ricorda, infine, che i moduli disciplinari possono interessare più discipline. Spetta in tal caso al consiglio di classe programmare gli interventi inter o pluridisciplinari.
4.§ L’argomento diviene ancora più complesso se si affronta il problema del metodo e della didattica. Complesso perché un metodo “predefinito” non esiste, ma va ricercato all’interno della stessa disciplina, nella prassi della didassi e nell’attività quotidiana, ma riflettere sul metodo è particolarmente importante per due motivi, uno di ordine formale e contrattuale, l’altro di ordine didattico in senso stretto. Il primo caso ci riporta direttamente al contratto, art. 25:
“Il profilo dei docenti è costituito da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologiche didattiche, organizzativo relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti (…) “. [14]
Lo stesso contratto prevede che il docente possieda competenze didattiche e metodologiche per potere “operare in classe e perseguire gli obiettivi di insegnamento-apprendimento”.
Il secondo motivo è strettamente operativo e psicopedagogico, perché “un buon metodo facilita l’apprendimento“. Sotto il profilo teorico nulla da ribadire, ma quando si cerca un metodo da utilizzare in classe il problema appare in tutta la sua complessità, e di solito si risolve o nel seguire “quel docente che maggiormente ha segnato l’esperienza scolastica del docente”, o nel ripetere i contenuti in una lezione frontale senza tener in debito conto le capacità cognitive degli alunni. La ricerca di un metodo è un’attività continua di riflessione teoretica, di sperimentazione pratica in classe, fino a strutturarne uno personale, efficace e funzionale alle necessità di apprendimento degli alunni.
Una breve e superficiale visita alla storia della pedagogia ci mette in luce la difficoltà di strutturare un metodo d’insegnamento. Il primo grande pedagogista che ha dedicato la propria vita al rinnovamento della didattica ed alla ricerca metodologica è G.A. Komenski, latinizzato “Comenio”. Per il Comenio la funzione fondamentale dell’istruzione è condurre l’uomo a riconoscere la propria dignità umana e a formare la propria ragione, e ciò non può essere perseguito che seguendo i principi di una didattica naturale, ovvero seguendo le tappe di sviluppo naturali del fanciullo. Nella Didactica Magna individua ben 10 punti in cui si articola la sua proposta didattica. In sintesi insiste, oltre che sul rispetto del fanciullo, sulla ciclicità, sulla gradualità, sulla continuità ed omogeneità del metodo, ed infine sulla “motivazione ad apprendere”. Questo ultimo punto necessita di una ulteriore riflessione. Motivare e incuriosire l’alunno non è semplice soprattutto quando si affrontano argomenti che richiedono una capacità di astrazione e di operatività formale, come nella matematica o nella filosofia, tuttavia l’insegnante deve poter svolgere altrettante funzioni didattiche miranti a semplificare l’apprendimento; vediamole:
– Far da guida all’allievo come modello da imitare (…);
– Far sì che l’insegnamento muova da conoscenze che riguardano l’ambiente con cui l’allievo è quotidianamente in contatto (…);
– Nel corso delle lezioni esplicative esprimersi con chiarezza (…);
– Far subito applicare quanto appreso (…);
– Nella scelta degli argomenti, optare per quelli che possono suscitare l’interesse degli alunni;
– Presentare le materie in modo attraente (…) [15].
Dobbiamo necessariamente tralasciare la riflessione sul metodo. Un suo prosieguo potrebbe presentarsi come spunto per una successiva riflessione ma ciò non è coerente con lo scopo di questa breve relazione sulla programmazione; proponiamo, invece, di seguito, una sintesi dei più importanti metodi e cinque prassi didattiche del ‘900.
Scheda n. 1: alcuni metodi
Metodo | Descrizione operativa |
---|---|
A spirale [16] | È il metodo teorizzato dal Bruner. Secondo il Bruner è sufficiente presentare la struttura dei contenuti, e il processo di apprendimento si struttura su tre processi simultanei: acquisizione, trasformazione, valutazione. |
Attivo | Considera l’insegnamento un processo “formativo” più che informativo e asseconda i bisogni e le tendenze del fanciullo, lasciandolo libero di pensare, agire. |
Ciclico | Consiste nel trattare gli stessi argomenti nei vari gradi d’insegnamento, ma può essere proficuo anche nella lezione frontale presentando lo stesso argomento secondo livelli di profondità e di analisi diversi, partendo dal semplice al complesso. |
Dei lavori di gruppo o dei gruppi di lavoro | Gli alunni sono chiamati ad operare in gruppo. L’insegnante coadiuva l’attività degli alunni limitando il suo intervento. Può essere un buon metodo ma ha bisogno di una programmazione dettagliata delle fasi e deve essere ben chiaro il punto d’arrivo. |
Della ricerca | È quello che mira ad educare nell’alunno la capacità di giungere alla conoscenza, è il metodo che più degli altri permette di raggiungere l’obiettivo educativo dell'”imparare ad imparare”. |
Dialettico | È il metodo corrente della lezione frontale o della lezione-discussione, metodo accusato troppo spesso di verbalismo. |
Dogmatico | Si basa su contenuti aprioristici, non discutibili, fecondo in alcune discipline, deleterio se adottato come prassi consueta dall’insegnante. |
Euristico | Permette all’alunno di ricercare in piena autonomia. Il metodo è fecondo ma non per com’è attualmente strutturata la scuola italiana. |
Metodo dell’istruzione programmata | Metodo analitico che segue ed applica il principio dell’istruzione programmata. Tre sono le sue possibili esplicazioni: metodo di Skinner, metodo di Crowder, metodo Pressey. |
Nozionistico | Metodo tradizionale direttamente interagente con la lezione frontale, possibilmente da evitare. |
Scheda n. 2: metodologie didattiche
Metodologie Didattiche [17] | Descrizione operativa |
---|---|
Didattica per concetti | Matrice neo-positivista: Piaget, Vygotskij, Bruner. All’origine vi è lo strutturalismo didattico. La proposta didattica consiste nella esplicitazione dei processi di concettualizzazione. Per Piaget formare uno schema. Struttura: 1. Identificazione dell’argomento; 2. Progettare l’unità didattica; 3. Stabilire le sequenze; 4. Valutazione. |
Didattica metacognitiva | Matrice: A.L. Brown. La didattica meta – cognitiva consiste nel rendere cosciente l’alunno dei processi di apprendimento. La didattica meta – cognitiva appare particolarmente utile quando si privilegia l’insegnamento di un metodo di studio. IMPARARE AD IMPARARE |
Didattica dell’errore | Didattica attenta alla fecondità dell’errore. Troppo spesso si stigmatizza l’errore non inserendolo dinamicamente nella attività didattica. La matrice è H. Perkinson 1982. L’errore diventa una risorsa epistemologica. |
Didattica lineare | Matrice: le teorie computazionali, la logica binaria. Sorse negli anni ‘50 ed è una didattica tecnomorfa ed è legata, come si può intuire, alle premesse alla rivoluzione informatica e all’utilizzo di tecnologie informatiche. (Si inizia a parlare di programmazione).
1. CAI : Computer Assisted Instruction; |
Didattica speciale | Didattica per i diversamente abili (OMS 1997 sostituisce la parola handicap) e si fonda sul principio che la diversità costituisca comunque una risorsa. Diverse sono le matrici e complessa è l’origine della didattica speciale che alcuni fanno risalire a J. Itard. |
Didattica breve | Matrice: prof. Ciampolini. Questa prassi didattica è nata negli anni ’70 per facilitare l’aggiornamento dei docenti. |
Didattica dell’oscuro | Matrice: J.V. Watsch. Questa particolare didattica pone in evidenza come gli insegnanti ricorrano a forme di guida indirette come le dinamiche relazionali ed affettive che coadiuvano (o ostacolano) le abilità cognitive, come il tono della voce, l’uso a scopo didattico dei gruppi spontanei, le condizioni che favoriscono la nascita della curiosità etc. Proprio perché queste sono forme di insegnamento indirette e interpersonali questa didattica è detta didattica dell’oscuro. |
Didattica multimediale | Matrice: anni ‘1960. accettata dai programmi Ministeriali solo nel 1997. Computer e Tv di diritto oramai sono parti integranti della didattica. Questa stessa lezione ne è un esempio. Naturalmente il dibattito è aperto se la didattica multimediale sia creativa o serva solo per rafforzare le procedure apprese. Oltre a questa oggi si parla di e-learnig (electronic learning). |
Didattica del cooperative learning | Matrice: J. Dewey. Questa metodologia didattica prevede di far lavorare i discenti in piccoli gruppi. |
Didattica del mastery learning |
Apprendimento per padronanza. Affermatosi negli anni ’70 è una delle strategie individuali di apprendimento più accreditate dal punto di vista psicologico e pedagogico. Si mira a realizzare una situazione di APPRENDIMENTO – INSEGNAMENTO ottimale in modo tale da porre tutti gli allievi nelle condizioni di padroneggiare le conoscenze o le competenze da apprendere. Questa procedura prevede: 1. Rispetto dei ritmi di apprendimento di ciascun allievo; 2. Le pause in itinere e l’eventuale riavvio delle procedure in caso di insuccesso; 3. I docenti devono pianificare le discipline mediante un rigoroso censimento dei contenuti essenziali. 4. La divisione dei contenuti in unità didattiche; 5. La previsione dei tempi; 6. La valutazione formativa o in itinere; 7. La predisposizione di attività di recupero; 8. La verifica finale o sommativa. Vedere A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Ed. Mondatori, pag. 187. |
Didattica orientativa | Matrice: Pellerey. Importanza del ruolo del docente. 1. Porre il soggetto in condizioni di conquistare la propria identità di fronte al contesto sociale; 2. Favorire la capacità di decidere, valutare, ponderare alternative e cambiamenti; 3. Individuare ed incoraggiare le prime manifestazioni attitudinali, scoprire le inclinazioni, destare interesse per le esperienze disciplinari. 4. In tale contesto acquista un ruolo rilevante il docente. |
Mezzi didattici |
– LIBRO. MANUALE. (problema del libro. Tesi della morte del libro con l’e-book) – Computer; – Tv. Ogni materiale può assurgere a materiale didattico in un contesto educativo. Es. carta, forbici, colla per i bambini. – Materiali a stampa; materiali visivi, materiali sonori, materiali informatici, materiali di manipolazione, materiali di osservazione; materiali di dimostrazioni e sperimentazione (Laboratori). |
5.§ Verifica e valutazione. Se la disamina del metodo rappresenta un problema, non meno problematico è il “contenzioso” sulla valutazione, se già nel 1943 Lombardo Radice sottolineava l’illogicità di una valutazione “numerica” degli alunni, 8+7+6 +5 e 5+6+7+8 danno la stessa media, ma corrispondono a due situazioni personali, psicologiche e di apprendimento essenzialmente differenti. Quando si valuta si cade in una serie di trappole, la più comune il giudizio sull’alunno e le aspettative che finiscono per condizionare il rendimento scolastico; seconda, parametrare la valutazione di un alunno in relazione alla valutazione media della classe, nulla di più sbagliato perché ogni deliberazione valutativa è singola e personale; terzo, la media dei voti che non rispecchia affatto la condizione reale dell’alunno; quarto, la pretesa scientificità. Una prassi di verifica tanto più è organizzata in maniera pseudoscientifica, tanto più si presta alle strumentalizzazioni e tanto più livella la classe.
Personalmente ritengo necessarie le griglie valutative, ma ritengo anche che la valutazione finale debba essere oggetto di una riflessione pratica e globale sull’alunno e non sia affatto affidabile ad un mero calcolo, o ad una semplice induzione dei risultati da una serie di verifiche effettuate e valutate numericamente..
Come sicuramente si può intuire, è difficile circoscrivere il problema della verifica e della valutazione, ma è anche vero che è necessario affrontarla ed attuarla perché ogni processo organizzato e finalizzato necessita di una verifica sul raggiungimento degli obiettivi programmati. La verifica e la valutazione non hanno il solo scopo di valutare e tradurre in una quantità numerica le conoscenze dell’alunno, ma hanno anche il compito di permettere al docente di verificare l’efficacia dei metodi, dei mezzi e quindi permettere di ridefinire le strategie operative e didattiche; di permettere alla scuola di valutare e verificare il proprio dinamismo e la propria capacità di rispondere alle esigenze del territorio e dell’utenza, ed infine, mettere l’allievo in condizioni di autovalutarsi. Dati questi presupposti la verifica dovrebbe essere:
1.1 Globale, nel senso che va riferita non solo alla didattica ma anche ai complessi aspetti psicologici, personali, ambientali;
1.2 Continua e permanente;
1.3 Pedagogicamente motivata e non usata come mezzo di oppressione, e deve essere connessa all’impegno verso determinati fini;
1.4 Promozionale, deve cioè promuovere l’autonomia e la capacità di autovalutazione dell’alunno;
1.5 Se non oggettiva almeno attendibile riducendo il coinvolgimento personale del docente;
1.6 Interpersonale, cioè “frutto dei costanti rapporti interpersonali con il docente ed il gruppo” [18].
Le verifiche, a mio avviso, per essere attendibili, dal momento che abbiamo assistito al tramonto dell’oggettività già da tempo, debbono essere diversificate secondo diverse metodologie. Indichiamone alcune:
2. 1. L’interrogazione orale;
2. 2. L’interrogazione scritta informale;
2. 3. I saggi e le interrogazioni scritte;
2. 4. I questionari a domanda aperta, o chiusa;
2. 5. Test di completamento o attraverso l’ausilio di strumenti informatici;
2. 6. Verifica del lavoro di gruppo.
Prima di chiudere questa ultima sezione sulla programmazione, con l’intento di suggerire un’ulteriore modalità di elaborazione delle verifiche e delle valutazioni, mi sembra utile richiamare quanto una collega scrisse alcuni anni fa sulla verifica e sulla valutazione nel verbale di dipartimento di filosofia, storia e scienze dell’educazione:
Con la verifica si intende valutare quantitativamente il percorso di apprendimento di ciascun alunno in base ai seguenti descrittori:
conoscenza: descrive il semplice possesso di informazioni; si esprime nella ripetizione da parte dell’alunno di nozioni anche ampie ma rigidamente ordinate e organizzate;
competenza: postula la comprensione dell’informazione, ne consente la modificazione e integrazione con altre conoscenze: l’alunna sa stabilire relazioni, sa spiegare le proprie affermazioni, sa cogliere la coerenza tra informazioni, sa dar conto della terminologia propria dei vari linguaggi specifici;
capacità: descrive il momento di maggior qualità del percorso di apprendimento e consiste nell’utilizzare le conoscenze per attribuire valori, decidere, giudicare; si ritiene acquisita quando l’alunno sa stabilire collegamenti e confronti, sa eseguire astrazioni.
Le prove di verifica assumeranno, pertanto, una duplice tipologia:
– di profitto, finalizzate a dimostrare la presenza – assenza delle informazioni;
– di procedura, atte ad evidenziare capacità più complesse quali l’analizzare, il sintetizzare, il fare inferenze, il valutare.
Le verifiche, sia di profitto che di procedura, potranno assumere la forma dell’interrogazione orale o scritta, e saranno quanto più possibile frequenti per poter attivare tempestivamente i necessari momenti di recupero e per adeguare ritmi e scansione degli argomenti previsti dalla programmazione ai tempi di apprendimento degli alunni.Valutazione
Poiché per alcuni docenti il voto deve costituire un dato puramente quantitativo, basato sugli esiti delle verifiche, mentre per altri esso deve assumere anche una funzione qualitativa rispetto al complessivo processo formativo, si concorda una griglia in cui compaiono entrambi i dati valutativi distinti in base al carattere grafico: sarà il singolo docente, nell’ambito del Consiglio di classe, a decidere se all’interno il quantitativo numerico debba esprimere anche il dato qualitativo.
Certamente non è possibile esaurire il “contenzioso” della verifica e della valutazione ma per chi intendesse approfondire allegheremo alla fine alcuni suggerimenti bibliografici.
Recupero. Con la nuova normativa in materia il collegio docenti dovrà adottare nuove strategie e modalità alle quali il docente dovrà conformare la propria programmazione.
Relazione finale. La relazione finale dovrebbe essere un lavoro di sintesi dal punto di partenza al punto di arrivo, cioè dalla situazione iniziale alla situazione conclusiva, sia sui contenuti, sui metodi, sulle verifiche effettuate, sulle possibile integrazioni o sulle possibili parti del programma non sviluppate, alle verifiche effettuate.
Nel concludere, vorrei fare alcune considerazioni personali con la speranza che possano essere spunti di riflessione e di discussione con i colleghi. La prima consiste nella consapevolezza degli obiettivi comuni, perché senza la consapevolezza degli obiettivi non è possibile stendere una programmazione credibile; la seconda insiste sulla programmazione educativa collegiale condivisa, in grado di trasformare i progetti dell’Istituto nel “progetto educativo dell’istituto“; la terza sulla difficoltà di individuare i saperi essenziali, sui quali persino il Governo brancola nel buio più assoluto, per cui il riferimento va sempre ai programmi tradizionali, non tenendo in debita considerazione le abilità e le capacità cognitive degli alunni che, forse, richiederebbero anche nuovi contenuti; l’ultima considerazione verte sulla finalità della scuola, ben poco chiara, se non nella speciosità barocca dei POF, e sull’efficacia educativa della stessa: non sarà il caso di iniziare a parlare, tra le finalità educativa, di “rieducazione“? Non è forse vero che l’alunno raggiunge la scuola superiore con dei saperi già consolidati, più o meno ben strutturati? Non è forse vero che l’alunno raggiunge la scuola superiore “educato“, dall’ambiente di provenienza, da quella cattiva maestra che è la televisione, analogica o digitale, e con comportamenti costruiti sulla frequentazione assidua del mondo informatico e virtuale? E allora? Quali soluzioni? Quali obiettivi formativi per educare le persone alla libertà, all’autonomia di giudizio, al lavoro, alla complessità della società contemporanea ed alla sue sfide?
Bibliografia
Autori | Titoli | Casa Editrice |
---|---|---|
AA.VV | Dispense su Programma, programmi e programmazione 1991 | |
AA.VV. | La progettazione formativa nella scuola | La tecnica della scuola |
B. Vertecchi | Introduzione alla ricerca didattica | La Nuova Italia |
B. Vertecchi | La didattica tra certezza e probabilità | La Nuova Italia |
C. Laneva | Elementi di didattica generale | Editrice La scuola |
Calonghi Luigi | Valutazione | Editrice la Scuola |
Duane P. Scultz | Storia della psicologia moderna | Giunti Barbèra |
F. Frabboni | Il Libro di pedagogia e Didattica, Vol 3 | Laterza |
F. Pressutti | Psicologia dell’educazione e metodi di ricerca | ATLAS |
G. De Vecchi | Aiutare ad apprendere | La Nuova Italia |
G. Giugni | Introduzione allo studio delle scienze pedagogiche | SEI |
G. Petracchi | Apprendimento scolastico e insegnamento | Editrice La scuola |
G. Petter | Dall’infanzia all’adolescenza | Giunti |
Guy R.Lefrançois | Psicologia per insegnare | Armando |
J. Bruner | Il processo educativo dopo Dewey | ed. Armando |
J. Bruner | La cultura dell’educazione | Feltrinelli |
J. Bruner | Verso una teoria dell’istruzione | Armando |
J. Dewey | Scuola e società | La Nuova Italia |
K. Richardoson | Che cos’è l’intelligenza | Tascabili Einaudi |
L. Trisciuzzi | Manuale di pedagogia sperimentale | Edizione ETS |
L. Trisciuzzi | Manuale di didattica in classe | Edizioni ETS |
L.Tomassucci Fontana | Corso di perfezionamento in didattica generale e sperimentale | La Nuova Italia |
P.Bertolini | Dizionario di Pedagogia e scienze dell’educazione | Zanichelli |
R. Tassi, | Itinerari pedagogici della programmazione didattica | Zanichelli, |
R.M. Gagné | Le condizioni dell’apprendimento | Armando |
S. Bloom | Tassonomia degli obiettivi educativi | Giunti & Lisciani |
U. Galimberti | Dizionario di psicologia vol. 3 | UTET |
V. Telmon | La filosofia nei licei italiani | CLUEB |
Note
1. Art. 24 Contratto.
2. Vedi Guide operative della scuola, Il sole 24 ORE.
3. Per avere un quadro più dettagliato del significato della parole consultare: P.Bertolini, Dizionario di Pedagogia e scienze dell’educazione, Bo, 1996, ed. Zanichelli; U. Galimberti, Dizionario di psicologia, vol. 3, To, 1994, ed. UTET.
4. AA.VV. dispense su Programma, programmi e programmazione 1991, pag. 5.
5. Dispensa, op.cit., pag. 5.
6. R. Tassi, Itinerari pedagogici della programmazione didattica, Bo, 1991, Ed. Zanichelli, pag. 71.
7. R. Tassi, op. cit., pag. 73.
8. Per gli approfondimenti consultare il testo del Tassi già citato.
9. Quanto sia importante la prima impressione lo dimostrano gli studi psicologici sull’ “effetto alone”, che consiste nel lasciarsi guidare, nel giudicare una persona, un alunno da un’impressione generale.
10. Dispensa cit. pag. 12.
11. Per una maggiore informazione sugli obiettivi si consulti il testo da cui sono stati tratti, G. De Vecchi, Aiutare ad apprendere, Fi, 1998, ed. La Nuova Italia, pag. 78.
12. F. Frabboni, Il Libro di pedagogia e Didattica, vol 3, Bari, 1998, ed. Laterza, pag. 165.
13. F. Frabboni, op. cit. pag. 166.
14. Art. 25, ex art. 23 CCNL scuola del 1999.
15. Per approfondire si veda Lucia Tomassucci Fontana, Corso di perfezionamento in didattica generale e sperimentale, ed. La Nuova Italia, pag. 108.
16. Per un approfondimento vedere J. Bruner, Il processo educativo dopo Dewey, Roma, 1977, ed. Armando
17. Per approfondimenti vedi C. Laneva, Elementi di didattica generale, Brescia, 1998, Editrice La scuola.
18. Gli aspetti riportati sono indicativi e ripresi da G. Giugni; chi vuole approfondire veda G. Giugni, Introduzione allo studio delle scienze pedagogiche, To, 1998, ed. SEI, pag. 218.
Prof. Serse Camedda