cronache e opinioni

Una riflessione urticante?

Sarebbe stato un giorno come un altro se una collega, in sala professori, non mi avesse raccontato questa breve storia autobiografica: “Quando ero bambina, volevo insegnare a volare alle galline. Ogni mattina uscivo in cortile, prendevo una gallina e simulavo il volo, ogni mattina! Sino ad andare incontro ad una malattia della pelle e alle proibizioni di mia madre. Tuttavia credo che questo volere insegnare qualcosa, anche in condizioni impossibili, sia l’atteggiamento esatto per entrare in classe”!

Sarebbe stato un giorno come un altro se questo breve racconto autobiografico non avesse fatto il suo dovere, cioè invitarmi alla riflessione. Infatti, noi docenti siamo sempre di fronte ad alunni sempre più problematici, ad acronimi impronunciabili – UDA, PTO, BES, CLIL, a compiti come il sostegno, il recupero, il supporto, spesso confinati nell’ “empireo” della burocrazia, ad essere oggetto di riforme prive di un disegno, ad affrontare conflitti, correggere compiti, introdurre e condividere nuove idee con alunni, sempre più culturalmente deboli e assorbiti nel vortice omologante del mondo virtuale, ed infine chiamati ad essere valutati col fine della premialità (L.107/2015). Quale premialità? Se già M. Montessori sottolineava l’inutilità dei premi “esteriori”: “Tale giuoco affascina i piccoli: i loro volti intenti, la loro immobilità paziente rivelano la ricerca di un grande piacere. In principio, quando l’anima del fanciullo mi era sconosciuta, avevo pensato di far veder loro piccoli dolci e piccoli giocattoli promettendo di darli al chiamato, supponendo che i regali dovessero essere l’attrattiva necessaria a ottenere simili sforzi dall’infanzia. Ma ben presto dovetti accorgermi che era cosa inutile. I bambini giungevano dopo aver superato gli sforzi, le emozioni e i godimenti del silenzio, come navi in porto; erano felici di tutto ciò: (…).” Chiunque voglia leggere queste pagine le trova in M. Montessori, La scoperta del bambino, pag. 154. Se ciò è stato pensato per i bambini, per gli adulti non dovrebbe essere un impegno contrattuale ed etico lavorare bene in classe pur senza questo “bonus” esteriore, per certi versi alienante? Per di più lasciando il tutto sulla singola responsabilità del Dirigente, instillando l’idea che ne sia l’unico responsabile?
Ora è lecito chiedersi come potrà essere valutato un docente che entra in classe con quello spirito utopico di quella bambina che voleva insegnare a volare alle galline? Certamente sa che il processo “educativo”, sebbene non immediatamente osservabile e valutabile, germoglierà e contribuirà a formare una persona nella sua complessità! Ciò che si può valutare è l‘insegnamento-apprendimento, non certamente la comprensione che non è mai sincronica ma diacronica, né tanto meno la valenza educativo-formativa che richiede tempo, per dare forma, attraverso i contenuti appresi, al “mondo” interiore, o, se si preferisce, contribuire alla costruzione della “persona”.

Se un possibile lettore liquiderà queste poche righe come assurde perché in accordo con lo pseudo-scientista atteggiamento filo-cognitivista proposto dal Governo che riduce l’alunno, come ben sintetizza la metafora dell’imbuto di Norimberga utilizzata da Von Foerster, a un recipiente da riempire affinché si appropri di competenze (!), rimando ad una fonte autorevole, G. Giugni: “L’utopia, inoltre, costituisce anche una strategia educativa, in quanto si pone come un ‘quadro di riferimento’ del processo educativo, proteso verso il futuro; un telaio di idee per orientarlo; un modello operativo della sperimentazione educativa, per liberarla dallo spontaneismo, dalla dispersione e dall’improvvisazione. Il dinamismo operativo di questa strategia parte da un’accurata analisi della realtà per individuarne sia le contraddizioni ed i pericoli per lo sviluppo dell’uomo; sia gli aspetti positivi su cui appoggiarsi per il dispiegamento ordinato e controllato dell’azione, orientata non già verso aspettative esterne ma alla realizzazione, all’interno stesso della realtà, di quel salto qualitativo indicato dall’utopia come ipotesi di cambiamento. La strategia utopica, pertanto, si articola metodologicamente come ricerca, come critica e come prassi di realizzazione del tutto nuova.” (G.Giugni, Introduzione allo studio delle scienze pedagogiche).
Mi sembra che una buona scuola come questa appena intravista sia diametralmente opposta alla “Buona scuola” proposta per legge!

Serse Camedda

SCUOLA IN CHIARO